Bornato, la leggenda di Bianca e Adalberto | ||
per ascoltare la leggenda... voce narrante Vincenzo Lonati | ||
A volte sembra farsi annunciare cupa dal rombo lontano del temporale, che dall’imbuto di cielo sopra Sarnico rotola giù fin dentro la valle di Calino. Quasi a rievocare il tuono delle bombarde che in quell’estate del 1438 segnava l’avvicinarsi minaccioso delle soldataglie dei Visconti.
A volte invece preferisce aleggiare giocosa assieme al refolo di vento che tiepido sale dall’immensa pianura a meridione, nel pomeriggio, e che nella calura estiva muove leggero le fronde degli alberi del giardino. Quasi a cantare la dolcezza di un tempo di pace.
Quale che sia - di gioia oppure di pianto - la porta dalla quale sceglie di entrare, per coglierne la presenza è forse sufficiente fermarsi un attimo, smettere di correre, socchiudere gli occhi e ascoltare ciò che le pietre di queste mura antiche e il respiro di questi larghi panorami hanno da raccontarci. E’ l’eterna storia della guerra e dell’amore, dell’attesa e del dolore. Della giovinezza e della speranza.
Lei è Bianca. E’ poco più che una ragazzina. Di lei sappiamo poco, solo che faceva parte della larga comunità - nobili, mezzadri, servitori, stallieri, sarte, cucinieri… - che viveva e lavorava al Castello di Bornato. Ci piace immaginarla come una ragazza del popolo, sveglia e sorridente. “La mé Bianchì l’è bèla come ‘l sùl...” amava dire di lei la nonna Caterina, mangiandosela con gli occhi. La sua triste storia d’amore le ha tolto la vita, allora e per sempre. E da allora e per sempre il suo spirito è rimasto qui, tra queste mura. E da fantasma torna a farsi ascoltare. A volte in un’anta che sbatte, nello scricchiolare di un trave, oppure nell’ombra della luna che si nasconde fra gli alberi o nel respiro del vento sopra la torre antica.
La vicenda risale al 1438. Il Castello di Bornato sorge su un’altura che domina con la vista il territorio circostante. Qui già i Romani avevano eretto un imponente torrione di guardia, nel Medioevo poi sono i nobili Bornati a realizzare la solida cinta muraria e a farne una ampia dimora con funzioni difensive. Nei primi decenni del Quattrocento anche il Castello si trova a più riprese coinvolto nelle lunghe guerre di confine tra Milano e Venezia, schierandosi dalla parte di quest’ultima.
E così nell’estate del 1438 a Bornato arriva Antonio Martinengo, nobile condottiero bresciano alleato dei veneziani, già sceso vittorioso in battaglia contro i viscontei a Maclodio nel 1427. Il suo compito qui è arginare le truppe milanesi che alla guida del Piccinino avanzano da Ovest. Con sé ha fidate truppe di arcieri e lancieri.
Aveva provato, nonna Caterina, a metterla in guardia: di guerre lei ne aveva già viste e non avevano mai portato nulla di buono.
“Atènta Bianchì - diceva - con la guèra i siòri a ólte i pèrd e a ólte i vèns, ma i poarèt i ga va sèmper de mès…”
Ma la giovinezza è troppo innamorata della vita per dar retta alla voce della saggezza. E così il destino di Bianca si perde in un attimo, cadendo negli occhi scuri e morbidi di quel lanciere arrivato a castello a seguito del nobile condottiero. E’ poco più che un ragazzo. Nemmeno di lui sappiamo molto, se non che si chiama Adalberto. Ci piace pensarlo come un figlio del popolo, sveglio e sorridente. A casa ha lasciato anche lui una nonna: “El mé Adalbèrto l’è bèl come ‘l sùl…” amava dire lei mangiandoselo con gli occhi.
Bianca e Adalberto incrociano i loro sguardi. E’ un attimo eterno. Un istante dentro il quale i due riconoscono la vita che sognano. Non ci sono parole, non ci sono baci, non ci sono promesse. Solo le loro mani si sfiorano quando lei - furtiva - gli dona il proprio fazzolettone di lino, un attimo prima che con la guarnigione lui debba rientrare al campo militare.
Il mattino seguente è battaglia, giù nella valle di Calino. Le bombarde del Piccinino rombano come tuoni che scuotono il cielo. Il nobile Martinengo e i suoi fedeli soldati mettono in campo abilità e coraggio. Dalle mura del Castello di Bornato due occhi pieni di speranza e di terrore cercano di leggere i movimenti delle truppe.
Sono ore terribili, di assalti e respinte, agguati di arcieri, scontri fra prime linee. Al tramonto le truppe viscontee sono ricacciate verso Ovest, il Martinengo può tornare vittorioso a castello.
Ma dell’esito della battaglia a Bianca poco importa. Sulla porta del maniero guarda i soldati rientrare. Ferite, silenzi, sguardi perduti: la guerra lascia il suo segno anche su chi vince. Ma Bianca cerca disperatamente un solo sguardo, e non lo incrocia. La sua attesa si scioglie in pianto quando vede un lanciere riportare a Castello un fazzolettone di lino. E’ macchiato di sangue. Chi lo indossava non ha fatto ritorno.
Il resto è la storia di un dolore che non ha avuto e che non avrà fine. E’ la storia dell’amore che Bianca e Adalberto avrebbero potuto vivere e che una battaglia si è portata via. E’ la storia di un fantasma che non trova serenità e che ora chiede a noi di trovarla. Che ci chiede di riconoscerla nel vento leggero che muove le foglie, nello svolazzare improvviso di una tenda, nell’aria che sale dalla valle e che sembra portare un richiamo. Che ci chiede di vivere un po’ di quell’amore e di quella pace che a lei - e a chissà quanti ancora - la guerra ha negato.
Bornato, marzo 2022, Massimo Lanzini