Mario Marius Stroppa | ||
per ascoltare la leggenda... voce narrante Gianni Calabrese | ||
Ruzante è il nome che mi hanno dato, ma avrei voluto essere chiamato Mario.
Ed ora che sono un fantasma, a chi mi chiede il nome rispondo, appunto, Mario.
Sono inquieto, sempre alla ricerca di cose da fare. Ma dopo sessant’anni non ho più molto da scoprire nel castello di Pandino di cui conosco ogni pietra, legno, fessura e nascondiglio. Ma ci sono affezionato.
Quando la luna rossa si alza nel cielo, non riesco a star fermo e mi viene da correre; e più forte corro, più mi aumentano di numero le zampe talché, chi mi sente correre pensa che siano tanti cavalli. Invece sono solo io, Mario.
Ogni sette anni - per mia fortuna il tempo vola come le macchine volanti - mi vengono a trovare i cavalli di Erminio e di Andrea, con i quali gioco a calcio usando sfere di pietra un po’ ammaccate che sono dovunque. Le riuniamo nel cortile utilizzando i ventiquattro archi come porte. Noi ci divertiamo molto, ma i ragazzini che insistono a dare un calcio, non proprio.
Il mio cavaliere conosceva la sottile arte di spostarsi a volo d’uccello con la fantasia, attraverso il tempo e non lo spazio. Scrutava l’arte a venire in termini di secoli, trasferendone l’idea nella realtà. Si chiamava Marius, quasi come me.
Lui, Marius, fu un grande Artista, e come tutti i grandi, umile. Creava per la sua sete inesauribile di ricerca del nuovo e del bello, tanto che, per motivi contingenti, accettò che altri firmassero alcune sue creazioni (non ne ho mai capito l’essenzia).
Si ritirò infine in una stanza della torre del castello di Pandino, dove visse una vita semplice, ma ancora troppo rapinata del suo genio creativo.
Ogni dieci anni avviene un fatto fantastico. Tutte le opere ideate da Mario, e firmate da altri personaggi, cambiano apparentemente aspetto: la firma della tavola diventa la sua, com’è sacrosantamente giusto.
Tra pochi giorni il prodigio si ripeterà.
Carpe diem.
Alvaro Mario Ferlenghi