Pagazzano. Io sono Margherita | ||
per ascoltare la leggenda... voce narrante Camilla Caster | ||
Quando ero solo una fanciulla amavo con tutta me stessa correre nelle verdi campagne di Cremona. Amavo tuffarmi in quelle immense distese erbose, piene di fiori.
I miei preferiti sono le margherite, come Margherita sono io.
La giovane e sconosciuta Margherita da Cremona.
Amavo raccoglierli e farne ghirlande, bracciali, anelli e corone.
Mia madre diceva sempre di avermi dato quel nome per il mio aspetto: pelle bianca e capelli biondi. Occhi verdi come lo stelo di quel fragile fiore.
Mio padre diceva sempre che un giorno, grazie alla mia bellezza un giovane principe sarebbe arrivato a chiedere la mia mano; sarei diventata regina, madre di una stirpe di nobili re e valorosi guerrieri. Oppure di giovani fanciulle, che a loro volta sarebbero diventate mogli e madri di nobili e valorosi.
Sognavo quel principe, mi cullavo in quelle fiabe e intanto correvo e giocavo spensierata; le mie corone di fiori, i miei abiti con l’orlo sempre macchiato di terra ed erba. I capelli liberi sulle mie spalle.
Che bella la libertà. Non ti rendi conto di cosa sia finché sei giovane e spensierato. Finché non la perdi.
Era il 1581 quando, per la prima volta, nella mia testa le fiabe e il principe furono sostituiti da questa consapevolezza.
Era il 1581 quando mi resi conto che non avrei più potuto giocare e correre fra i prati. Niente più ghirlande, bracciali, anelli e corone di fiori. Alfonso arrivò come la tempesta che tutto piega al suo volere e tutto distrugge.
Arrivò a cavallo e mi strappò dalla mia terra. Senza fatica, senza rimorso. Proprio come una bambina che, giocando, strappa le margherite per farne un mazzetto.
Raccolse con prepotenza il fiore della mia virtù e mi porto con sé in uno dei castelli del ducato di Milano. Un piccolo avamposto circondato dalla campagna.
Ero solo una bambina. Non tentai nemmeno di difendermi o di piangere. Sapevo sarebbe stato inutile.
Non ero lontana da casa, ma chi sarebbe venuto a cercare la figlia di contadini? Anzi, per molte persone, avrei dovuto ritenermi fortunata. In fondo Alfonso era un uomo nobile. Un nobile che aveva preso una fanciulla di umili origini. Un nobile che quella fanciulla l’aveva sposata e resa madre di quattro splendidi fiori.
Avrebbe potuto abbandonarmi. Avrebbe potuto uccidermi.
Se ripenso al matrimonio, non credo di ricordare niente di speciale. Semplicemente noi due, il celebrante e i testimoni.
I testimoni…tutti amici di Alfonso. Persone che non facevano altro che elogiarlo e ripetermi quanto io fossi una fanciulla fortunata. Quanto lui fosse il miglior partito che mi potesse capitare.
Fortunata io come fortunato è stato anche Don Defendente che ci ha uniti in matrimonio. Morto assassinato per mano di uno dei parenti di Alfonso. Che fine ingloriosa per un timorato di Dio.
Ci siamo sposati sotto il loggiato, circondati dagli splendidi affreschi che lo adornavano. Le sale affrescate da sfondo a Don Defendente. Alle nostre spalle il glicine in fiore. Era qui ancora prima di me, di Alfonso e di molti suoi antenati. Ha visto questo castello nascere. Ha visto i suoi cambiamenti. Ha visto le disfatte e le gioie. Ha visto l’abbandono e la ripresa. Probabilmente vedrà anche la morte di questa piccola fortezza.
Ricordo che Alfonso indossava l’armatura lucente. La spada al fianco. L’azza tramandata nella sua famiglia nella mano sinistra.
Io indossavo un abito nero. Stretto in vita, gonna ampia e le maniche bianche a sbuffo adornate di brillanti e perle, proprio come i miei capelli. Le passamanerie dorate.
Già, un abito nero. Ai miei tempi, il nero era uno dei colori nobili. I Visconti indossavano una tonalità particolare di nero, in un certo senso, creata per loro. Quella era la tonalità del mio abito. Nero Visconti.
Non so bene cosa provai in quel momento, ma so bene cosa provai quando divenni madre per la prima volta. Poi per la seconda. Per la terza e per la quarta.
Una gioia immensa.
Guardo Pierfrancesco e Pirro correre felici nel giardino del nostro piccolo castello: stanno giocando ai cavalieri. Si stanno già preparando alla vita che andranno ad affrontare.
Cullo tra le mie braccia il piccolo Annibale, ancora in fasce, mentre Luigi mi trotta incontro, ancora goffo rispetto ai suoi fratelli maggiori, ma già così simile a loro. Tutti così simili ad Alfonso.
Mi porge un mazzo di margheritine e io gli sorrido dolce, accettandole. Ne faccio una piccola corona, ritornando per un attimo alla mia fanciullezza: sto ancora correndo nelle campagne cremonesi, sto intrecciando fiori mentre i miei genitori lavorano nei campi.
Le preoccupazioni lontane. Soltanto le fiabe e le fantasie.
Ma le margherite finiscono e anche i miei ricordi.
Ritorno al presente, mi metto quel piccolo anello di margherite al mignolo. Luigi sorride e corre verso i fratelli, nel tentativo di imitarli.
I miei figli… due di loro li perderò giovani in battaglia. Degli altri due non c’è traccia nella Storia.
E di me… di me non resta che un fantasma che vaga per il castello. Un fantasma che ama passeggiare sui giardini pensili fra i fiori spontanei, le rose ben curate e gli alberi da frutto. Un fantasma che ogni tanto fa scappare il piccolo gatto nero che ha deciso di dimorare con me.
Una fanciulla che si mischia fra i tanti visitatori che, come soldati in battaglia, lo prendono d’assalto e lo invadono.
Mi piace girare fra le persone che di questo castello si prendono cura, che amano accompagnare i visitatori, che raccontano loro la storia di questo posto. Fra i giovani che amano mettersi in abito e armatura.
Mi fermo in mezzo al gruppo della ragazza con i capelli rossi. Solitamente porta gli occhiali, ma per oggi, i suoi occhi verdi sono liberi di brillare mentre parla degli affreschi coperti dalla mano del tempo. Gli stessi affreschi che ho amato. Gli stessi affreschi che ora loro stanno cercando di salvare con la loro passione.
Si gira facendo svolazzare il suo abito: una Cipriana di fine 1300, ma ha già intenzione di comprare un abito di epoca diversa. Mi chiedo come starebbe con gli abiti che indossavo io. Sorrido dolcemente mentre la vedo continuare con la sua spiegazione. Mentre si perde in leggende, aneddoti e battute spiritose.
Sorrido di nuovo.
Lei e tutti gli altri mi fanno ricordare di quando questo castello era vivo. Di quando io ero viva e con la mia pelle chiara, i miei capelli biondi, i miei occhi verdi e gli abiti sfarzosi mi aggiravo fra queste mura fortificate.
Pagazzano, maggio 2023, Enrica Visconti