"The page and Princess Ingrid" Anna Bruna Gigliotti | ||
to hear the story ... voice that tells by Anna Bruna Gigliotti | ||
Anna da bambina abitava in un quartiere chiamato “La Torre”, nel paese di suo padre, Nicastro, in Calabria.
Un luogo che oggi, nel ricordo, a distanza di molti e molti anni dai fatti, resta ingabbiato lì, in quel posto dove ristagnano e fluttuano storie. Una specie di misterioso archivio polveroso in cui a volte si entra per spolverare memorie che stanno aspettando proprio di essere riscoperte.
Eccola allora quella bambina che con le gambe penzoloni, infilate tra le sbarre del balconcino dello studio del babbo, guardava davanti a sé, volando sui vicoli stretti, che si aprivano come ferite tra i muri delle case vocianti di madri solerti a rincorrere mocciosi inappetenti, discoli e urlanti. Davanti ai suoi occhi i resti diroccati del vecchio castello. Anzi della torre, svettante coi suoi resti sul rione di San Teodoro.
Allora non sapeva che tutto ciò che sarebbe stata la sua vita in futuro, avrebbe avuto quella forma indefinita di pietra. Una roccaforte a cielo aperto. Il luogo del già avvenuto da calpestare , da cui fuggire, ma a cui tornare per ricostruire.
La sua personalità si sarebbe formata proprio lì e avrebbe avuto due facce unite ma di diversa natura. L’una razionale e l’altra fantastica. La prima si sarebbe radicata al dimostrabile e al quasi certo, l’altra al metafisico, fluttuante nella regione infinita dell’indimostrabile in modo assoluto.
Il padre di Anna, pur nel modo gustoso dell’affabulatore che pesa parole e fatti ma ne ricama i margini per rendere il racconto storico più allettante possibile, le parlava della storia documentata.
Le raccontava dei Bizantini e degli Svevi. Di Federico II che vi aveva soggiornato con la famiglia.
Le parlava poi del figlio ribelle di Federico, Enrico, che era stato rinchiuso in una torre per due anni e che poi era morto suicida nel 1242.
Alla sua domanda sul perché restassero solo pochi ruderi abbandonati, le rispondeva che un terremoto del 1638 aveva ridotto totalmente in rovina il castello.
In verità a lei quelle sue storie piacevano, ma non la facevano “volare”.
Allora interveniva la zia Elvira che di racconti antichi ne sapeva, eccome! Volare sulle ali delle sue parole era uno scherzo da ragazzi!
Le raccontava della Tana delle fate e la storia della Chioccia e i pulcini d’oro, ma quella che le faceva battere il cuore era la leggenda del Paggio e della Principessa.
Nel 1245 l’imperatore Federico II abitava nel castello di Nicastro con la sua famiglia.
Nella corte imperiale era stata accolta una trovatella di nome Maria che fu adottata da Federico di Svevia che le diede il nome germanico di Ingrid.
Nel castello vi erano molti paggi e a servizio della ragazza ne fu messo uno di nome Gerlando. Ingrid e Gerlando presto si innamorarono. Succede quasi sempre così e mai a lieto fine, pare.
Quando Federico II venne a sapere del fattaccio, scatenò la sua ira di maschio alfa.
Minacciò subito di morte il paggio che, avvisato dalla sua amata, saltò in groppa ad un cavallo e fuggì, rifugiandosi nella boscaglia del monte Reventino.
La povera Ingrid venne rinchiusa nella stessa stanza dove in precedenza era stato confinato l’infelice figlio ribelle dell’imperatore.
La ragazza, per consolarsi, si affacciava alla finestra della sua prigione e guardava i luoghi che l’avevano vista felice e innamorata del suo Gerlando.
Trascorso qualche mese dalla sua fuga, il paggio, venuto a conoscenza della sorte della sua amata, decise di tornare di nascosto per vederla. Così ogni notte sfidava il pericolo e, scendendo dal suo rifugio nei boschi, raggiungeva il castello e, per far sentire la sua presenza alla ragazza, le suonava la loro canzone d’amore.
Ingrid dal canto suo, quando faceva buio, posizionava sulla finestra della prigione una lucerna per fargli capire che lo stava aspettando e che lo avrebbe amato per sempre.
Anna ascoltava il racconto della zia con attenzione. Ancora non conosceva questo sentimento, ne intuiva però la bellezza e la forza ancestrale che sentiva battere da qualche parte nelle vene dei polsi mentre stringeva le inferriate del balconcino.
Gli occhi fissi sul maniero per cogliere le ombre del passato.
L’Elvira le citava anche dei testimoni, per rendere la storia più misteriosa e avvincente, ma anche il più credibile possibile.
Le diceva quindi che molte persone anziane del rione San Teodoro conoscevano quella leggenda, anzi giuravano di aver visto più volte un lucignolo ardere in un punto della rocca.
Alcuni affermavano di aver sentito un sommesso parlottio durante le calde notti estive. Altri ancora di aver sentito grida di dolore.
Davanti agli occhi sgranati di Anna, mossa a compassione e temendo di aver esagerato un po’, la zia Elvira aggiustava il tiro e con aria saggia concludeva che forse si trattava solo della voce del vento che scendeva in fretta dal monte Reventino, soffiando tra le pietre del castello.
Questa conclusione però non convinceva del tutto Anna e in cuor suo sperava di poter vedere anche lei, almeno una volta, la luce flebile della lucerna brillare nella notte, ascoltare una canzone d’amore sussurrata, e credere finalmente nell’impossibile.
Brescia, maggio 2021 - Anna Bruna Gigliotti